Noi e il lavoro del futuro. Un punto sul presente e futuro delle start up
Antonella Vitelli intervista Giovannella Condò per Lentiapois
Come sarà il nostro lavoro del futuro? Cosa accadrà nel "dopo"? Chi si salverà e chi sarà costretto ad un cambiamento radicale della propria attività? Questioni per niente insolite di fronte alle quali è impossibili, viste le variabili, fare previsioni.
Di fatto ci sono settori nei quali si sono aperte importanti prospettive. Basta guardare la farmaceutica. L'accelerazione della tecnologia dell'mRNA per i nuovi vaccini potrebbe rappresentare un balzo in avanti nella prevenzione di numerose malattie. E altrettanto stimolante potrebbe essere la crescente urgenza di ridurre inquinamento e cambiamento climatico. I CEO da qui in avanti si troveranno di fronte a domande chiave quali: cosa sarà della mia azienda in un mondo a emissioni zero? Cosa devo cambiare per avere successo? Di cosa ho bisogno per rispondere alle richieste di qualità dei consumatori?
Ad oggi migliaia di start-up tecnologiche stanno vivendo una fase di ottimismo perché si sentono parte del restyling tecnologico che presto sarà necessario. Necessario a partire dalle aziende esistenti. Tante aziende hanno avviato un processo di accelerazione sull’utilizzo di strumenti digitali. E-commerce e l'online banking sono ormai pratiche consolidati. E’ cambiato tutto in un anno e forse è il momento giusto per far emergere idee, prodotti e trend fino ad ora valutati come depressi. Il mantra resta quello di creare e riconvertire, senza troppi fronzoli e velleità.
Uno studio MGI, McKinsey Global Institute rileva che fino al 25% "in più di lavoratori rispetto a quanto stimato in precedenza" potrebbe aver bisogno di "cambiare professione". Per tutti questo stato di fatto è fonte di preoccupazione, ma per alcuni può rappresentare una nuova e grande sfida anche perché i dati relativi all'export digitale italiano parlano di un 2020 con un aumento di beni di consumo attestato a +14% rispetto al 2019 sfiorando i 13,5 miliardi di euro di valore. A trainare è soprattutto il fashion con il 53% dell’export digitale di beni di consumo. Segnali incoraggianti anche dal settore manifatturiero cioè alimentari, tessile, abbigliamento, pelle; legno, carta e farmaceutica, per citarne alcuni. La vera svolta però arriva dal fronte dell’e-commerce. Il 56% delle aziende italiane usa oggi i canali digitali per vendere prodotti a livello internazionale. Cos’è successo nel mondo di mezzo pre e post pandemia? Com’è cambiato il modo di vivere il lavoro e soprattutto il concetto stesso di rischio e di stabilità? L’ho chiesto a Giovannella Condò, ideatrice de La Carica delle 101, iniziativa non-profit nata per accompagnare e sostenere mediante il mentoring startup italiane nel loro percorso di crescita.
Durante quest’anno sono cambiate tante cose e tante altre cambieranno nel mondo del lavoro e dell’innovazione. Uno studio del McKinsey Global Institute (MGI) rileva che fino al 25% "in più di lavoratori rispetto a quanto stimato in precedenza" potrebbe aver bisogno di "cambiare professione". Quali saranno i trend da seguire nei prossimi anni?
GC: Di pancia, rispondo: digital, digital e digital insieme ad un approfondimento delle materie STEM. D’altra parte, sono fermamente convinta che sopravviveranno anche le professioni tradizionali se svolte con uno spirito innovativo e imprenditoriale.
Lei si occupa da sempre di start up, è co-founder di Milano Notai e una delle fondatrici della Carica delle 101, una community di imprenditrici, manager e professioniste a fianco dei giovani startupper. E’ emersa anche una sostanziale stabilità, nonostante la pandemia, del fenomeno. Cosa ne pensa? Cosa è successo in questo lungo anno?
GC: Ho un osservatorio privilegiato: dal nostro studio notarile passano moltissimi imprenditori innovativi, nella fase di avvio della loro attività e in quella, ancora più delicata, della crescita. Durante quest’anno, abbiamo registrato non solo una certa stabilità, ma addirittura un lieve incremento nella costituzione di startup innovative. Inoltre abbiamo rilevato anche una certa eterogeneità fra i founder: non solo giovanissimi, ma anche imprenditori maturi che intraprendono un nuovo percorso professionale.
Negli anni si è vista una crescita di start up a guida femminile. Quali sono le difficoltà strutturali con cui si scontrano le donne nell’avvio di attività di impresa innovative?
GC: Le start up a guida femminile o fondate da donne sono ancora un numero limitato, specie nel panorama italiano e speriamo di vedere presto il trend invertirsi.
Se fino a qualche anno fa l’assunzione del rischio imprenditoriale, la ricerca dell’innovazione, il desiderio di far crescere una realtà imprenditoriale propria era culturalmente osteggiata o perlomeno non favorita, oggi sempre più giovani donne si mettono in gioco, cercano soluzioni per concretizzare le loro idee, imparano a fare pitch e a cercare finanziatori. E sempre più donne diventano Business Angels.
Tuttora la scelta di studiare e specializzarsi nelle materie STEM resta una scelta per lo più maschile e questo è un problema per lo sviluppo delle competenze scientifiche sempre più richieste nel mondo del lavoro e delle start up. Ma da più parti sta crescendo la sensibilità su questi temi e le giovani ragazze vengono incoraggiate a guardare verso gli studi scientifici, tecnologici, ingegneristici e matematici.
Tante start up che incontriamo con la Carica delle 101 sono fondate da donne, tante di loro hanno un percorso di studio nelle materie STEM, a tante offriamo supporto e anche accoglienza rispetto ai loro dubbi, difficoltà nella speranza di offrire loro una soluzione o almeno uno spunto di riflessione.
Quali sono le opportunità e le agevolazioni per chi investe in start up innovative?
GC: Chi investe nelle start up innovative ha rilevanti sgravi fiscali. Mi piace però pensare che l’investimento non sia solo legato ai vantaggi in questo senso, ma al desiderio di conoscere e sostenere un mondo in continua espansione, che può contaminare l’attività che ognuno di noi svolge ogni giorno.
Nel discorso dell’innovazione quanto contano i fondi europei del Next Generation EU e quali saranno i settori e le sfide del futuro dalle quali dovrebbe partire il nostro paese?
GC: L'Italia deve investire sulla digitalizzazione, una priorità strategica per la crescita e la modernizzazione del Paese. Ben venga quindi l’attenzione politica e del governo a questo settore. Nella programmazione degli interventi per l'utilizzo delle risorse del Recovery Plan, è necessario concentrare l'attenzione sugli imprenditori, figure chiave per il successo della nostra economia. Attenzione quindi all’imprenditoria esistente e spinta all’aggregazione fra PMI, ma anche attenzione al passaggio generazionale che è uno devi veri punti nevralgici della nostra economia e società. L’Italia è un paese di PMI, spesso a conduzione familiare. Se nel dopo guerra e nei decenni del boom economico il passaggio da padre in figlio delle redini aziendali era scontato, oggi non è più così. L’Italia necessita di preparare i passaggi generazionali in maniera seria ed accurata ed è uno degli aspetti che osservo di più nella mia professione. Il Recovery Plan deve guardare alla nuova imprenditoria, quella dei giovani: dinamica, tecnologica, digitale e alle donne che, ancor più in questo anno di pandemia, stanno pagando lo scotto di un’economia già lenta da anni e che è il momento di risvegliare.